Enzo Suma e alcuni dei prodotti trovati in mare
Una scatola di Nesquik del 1974, una vaschetta di gelato Sammontana degli anni ’70, un flacone di detersivo Sole del 1981 , una crema Nivea costata 800 Lire. Oggetti che hanno 40, 50, a volte addirittura 60 anni . Prodotti resi iconici dalle pubblicità martellanti e entrati nelle case di tutti gli italiani. Articoli usa e getta, con la vita solo in apparenza breve. Sono in realtà sopravvissuti a mareggiate e temporali, dimostrando con il loro aspetto pressoché integro l’immortalità della plastica. Lo sa bene Enzo Suma, guida naturalistica di Ostuni che da quattro anni si cimenta nel ruolo di archeologo della plastica.
L’archeologo della plastica: «Tutto iniziò da una bomboletta spray»
«Ripulisco le spiagge dagli oggetti che il mare porta a riva. All’inizio, non mi soffermavo a osservare i rifiuti che raccoglievo - spiega Suma - Quando ho cominciato a guardare con attenzione gli oggetti che mi capitavano tra le mani, ho scoperto che si trattava di pezzi di plastica con anche 60 anni di storia». Qualcosa è cambiato nel momento in cui ha trovato una bomboletta di spray abbronzante, portata a riva dalla corrente . «Notai il prezzo in lire. Feci qualche ricerca, consultando vecchie pubblicità, e venne fuori che era un oggetto datato tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70. Mi sembrò aver trovato un reperto archeologico». Un’intuizione che gli ha spianato la strada verso la creazione del primo museo della plastica. O meglio, degli antichi rifiuti di plastica.
Il materiale «sopravvissuto» per decenni in natura
«Al terzo reperto trovato ho capito che sarei riuscito a metter da parte abbastanza materiale da esporre. Le persone con cui condividevo le mie scoperte si incuriosivano. E non tanto per gli oggetti in sé, ma piuttosto per il fatto che il materiale plastico fosse sopravvissuto intatto al passaggio del tempo. Tolti i graffi e il colore sbiadito dalla salsedine, i pezzi che raccolgo sono quasi perfetti . Ho pensato che mostrarne altri alle persone potesse essere un modo per avviare una riflessione sulla plastica e sulla capacità di questo materiale di resister a tutto».
Quel tappo prodotto all’inizio dell’uso della plastica
È iniziato il progetto «Archeoplastica», sono seguite le raccolte fondi e le mostre. Sono più di 300 i pezzi collezionati, trovati prevalentemente sulle spiagge di Ostuni. Ma ora che il progetto si è fatto conoscere, il materiale non smette di arrivare da ogni zona d’Italia. Anche dall’Adriatico del Nord, in corrispondenza delle coste venete e emiliano-romagnole. Sulle spiagge del ferrarese, è stato trovato un tappo bianco, all’apparenza anonimo. Solo a guardarlo bene, a scandire le parole «Moplen-Montecatini Polipropilene » se ne comprende l’importanza. «È un pezzo che può quasi definirsi reperto storico. Importantissimo perché segna l’inizio dell’era della plastica. È un simbolo che rappresenta il momento in cui questo materiale è entrato nelle nostre case. Perché Montecatini Polipropilene è stata la prima marca a commercializzare e la plastica con il marchio Moplen, inventata da Giulio Natta», spiega Suma.
Suma: «A Brindisi ho raccolto una radiosonda partita da Bologna »
I rifiuti possono compiere viaggi anche lunghi. Dei flaconi a forma di orsacchiotto, commercializzati agli inizi degli anni 2000, sono arrivati sulle coste brindisine direttamente dall’Albania. Da Bologna, è partito un oggetto arrivato fino in Puglia . «Si tratta di una radiosonda di polistirolo, utilizzata nei palloni meteorologici di lattice messi in volo per captare i dati dell’atmosfera e poi lasciati cadere in mare. Quella che ho raccolto a Brindisi era stata lanciata ad ottobre dalla stazione meteorologica di Bologna , era caduta in acqua a pochi chilometri al largo di Ferrara e le correnti l’hanno trascinata fino in Puglia».
La storia degli oggetti viene catalogata: il museo conta 300 pezzi
Barbie, palloni, palette da spiaggia, flaconi di bagnoschiuma, vasetti di yogurt. Oggetti che Suma ha raccolto, catalogato e di cui, con l’aiuto dei social, ha ricostruito la storia. La rete è stata preziosa anche per capire che cosa fosse quello strano flacone a forma di gobbo napoletano, con tanto di bastone e frac, comparso un giorno sulle spiagge della Puglia. «Un rifiuto che mi colpì molto, il più misterioso con cui mi sono trovato ad aver a che fare - spiega - Sono riuscito solo anni dopo a capire che era una statuetta e a vedere il suo aspetto originale. Il tutto grazie all’aiuto di un collezionista francese e di una signora del Piemonte che aveva comprato una statuetta identica a una fiera di paese negli anni ’60».
Il lavoro e i corsi con le scuole per educare i più giovani
Suma, di mestiere guida naturalistica, lavora con le scuole per sensibilizzare a un consumo più consapevole. Con i 300 pezzi di rifiuti riconsegnati dal mare ha realizzato un museo virtuale e vorrebbe portare la mostra fisica in altre regioni . «Voglio far capire il materiale con cui sono fatte cose che usiamo ogni giorno non si degrada. Vedere che, dopo 50 anni, tutta la plastica che abbiamo immesso in mare è ancora integra, deve farci riflettere».
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